mercoledì 2 febbraio 2011

Il Carnavale di Arlecchino - Joan Miro - 1924-25 - Harlequin's Carnival - Le Carnaval d'Arlequin - El Carnaval del Arlequín - Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, NY, USA


Joan Miró.
Harlequin's Carnival, 1924-25
Oil on canvas, 66 x 93 cm.
Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, NY, USA



L'acclamato dipinto, Il Carnevale di Arlecchino (in spagnolo El Carnaval del Arlequín), è un capolavoro del famoso pittore spagnolo, scultore, e ceramista Juan Mirò (Barcellona, 20 aprile 1893 – Palma di Maiorca, 25 dicembre 1983).
Il quadro è del 1924-25 ed è stato dipinto in Francia, a Parigi, quando l'artista aveva già aderito al surrealismo. 
Questo quadro fu composto prima che Breton scrisse il "manifesto surrealista", e fu intrerpretato come un "chiarimento del subconscio umano": applica già la tecnica surrealista dell'automatismo psichico cioè il trasferimento in maniera automatica, senza la mediazione della ragione, nelle forme dell'arte, delle immagini e delle associazioni che sgorgano liberamente dall'inconscio.
Il processo comporta quindi il lasciarsi trasportare dalle forze dell'inconscio, liberi dal controllo della mente.
Essendo magnificamente non convenzionale, il "Carnevale di Arlecchino"  ha spesso attirato le critiche degli esperti d'arte per il fatto di non essere conforme alla consueta eloquenza artistica.
Il carnevale di Arlecchino è considerato uno dei capolavori del movimento surrealista perché esemplifica, meglio di altre opere, gli obiettivi ed i traguardi che questa corrente pittorica si è proposta fin dal momento della sua fondazione. 
Il carnevale mostrato in "Carnevale di Arlecchino" è un allegro fare festa, un periodo di baldoria che nel calendario cristiano si conclude il giorno prima del Mercoledì delle Ceneri (vedi post correlato: breve storia del Carnevale)
L'opera si presenta come una "visione", un grande spettacolo composto di oggetti strani, giocattoli fantastici, diavoletti, folletti e strani esseri informi: oggetti e simboli che fluttuano in uno spazio appena accennato all'interno di una pittura primitiva ed infantile.
Mirò libera la sua fantasia crea una realtà surreale ed inconscia, un mondo parallelo al nostro, costituito di oggetti onirici e metafisici. 

Nel 1938, rievocando questa opera, chiarisce quelli che sono i suoi elementi caratterizzanti, i quali possono essere ritrovati anche in altre tele: la scala indica la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali sono quelli che amava e di cui sempre si circondava; il gatto è quello che era sempre al suo fianco quando dipingeva; la sfera nera sulla destra del dipinto simboleggia il globo terrestre; il triangolo nero che appare alla finestra evoca la Tour Eiffel.
Il cavolfiore, scrive ancora Mirò, ha una vita segreta ed era quello che gli interessava, non il suo aspetto.
Mirò dava grande valore alla pittura infantile in quanto riteneva che i bambini attraverso l'uso della fantasia, risucissero più liberamente e con meno filtri ad avvicinarsi al mondo delle fiabe e delle favole.
Mirò sostiene che il pittore è sempre parte delle cose reali della natura, e le plasma non così come sono, ma come lui li vede; le sottopone ad un processo di metamorfosi che le porterà a creare un linguaggio di segni, che è tale perchè universalmente conosciuto.

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