La povertà nella giovinezza, quando riesce, ha un lato magnifico: essa rivolge tutta la volontà verso lo sforzo e tutta l’anima verso l’aspirazione, mette immediatamente a nudo la vita materiale rendendola ignobile; di qui sorgono gli inesprimibili slanci verso la vita ideale.
Il giovane povero si arrabatta per guadagnarsi il pane, poi mangia e, una volta finito, non gli resta che il sogno.
Medita e si sente grande, medita ancora e si sente misericordioso; dall’egoismo dell’uomo che soffre passa alla compassione dell’uomo che pensa.
Sboccia in lui un sentimento mirabile, l’oblio di sé e la pietà per tutti.
Pensando agli innumerevoli godimenti che la natura offre, dona e prodiga agli animi aperti e rifiuta a quelli chiusi, egli, milionario dell’intelligenza, giunge a compiangere i milionari del danaro: ogni odio sparisce dal suo cuore a mano a mano che la sua mente si compenetra di luce.
No, la miseria di un giovane non è mai miserabile: qualunque ragazzo, per quanto povero, con buona salute e in forze, con il passo vivace, gli occhi splendenti, il sangue che gli circola caldo nelle vene, i capelli neri, le guance fresche, le labbra rosee, i denti candidi, l’alito puro, desterà sempre l’invidia del vecchio imperatore.
E ogni mattina egli ricomincia a guadagnarsi il pane e mentre le sue mani attendono a questo, la sua spina dorsale ci guadagna in fierezza e la sua mente in idee.
E’ fermo, sereno, mite, calmo, attento, serio, contento di poco, affabile e benedice Iddio di avergli concesso quelle due ricchezze che mancano a molti ricchi: il lavoro che lo rende libero e il pensiero che lo fa degno.
Dopo esser giunto ad assicurarsi pressappoco i mezzi di vita, non aveva proseguito oltre non dispiacendogli la povertà e sottraendo al lavoro per dare alla fantasia: trascorreva cioè talvolta giornate intere a sognare, sprofondato e assorto come un visionario nelle tacite voluttà dell’estasi e del gaudio interiore.
Aveva posto così il problema della sua vita: lavorare il meno possibile materialmente per dedicarsi il più possibile al lavoro impalpabile; in altre parole dedicar poche ore alla vita reale e disperdere il resto all’infinito.